PERCORSI NELLE VALLI DEL BEN VIVEREGesualdo

Gesualdo è un borgo della provincia di Avellino (Campania) che sorge su un dolce rilievo collinare nell’Appennino meridionale, a metà strada tra il Mar Tirreno e il Mare Adriatico. In questa “terra di mezzo”, con una popolazione di circa 3500 abitanti, visse il compositore madrigalista Carlo Gesualdo (1566-1613) principe di Venosa e nipote a San Carlo Borromeo, tra le mura del possente Castello, antica rocca di difesa, che domina lo sperone roccioso della parte antica della cittadina (e le cui origini si fanno risalire all’epoca longobarda). Seppur vi siano tracce di antichi insediamenti già prima della nascita di Cristo, è durante il periodo longobardo e soprattutto in quello normanno che Gesualdo cominciò ad avere uno sviluppo dell’aggregato urbano, proprio attorno alla suddetta rocca, che fu trasformata poi, con il passare dei secoli, da struttura difensiva ad abitativa, fino a diventare il maestoso e possente Castello che caratterizza il panorama attuale. Per volontà del principe Carlo Gesualdo il castello venne trasformato da fortezza militare ad una dimora, sede di un vero e proprio “cenacolo musicale” verso la fine del ‘500, in cui furono accolti letterati e poeti, tra cui anche Torquato Tasso. In quegli anni, tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600, Gesualdo fece edificare tre chiese, il convento dei Domenicani e quello per i Cappuccini (dove è custodita la pala del Perdono di Gesualdo, attribuita a Giovanni Balducci). Alla morte di Carlo Gesualdo, fu Niccolò Ludovisi a succedergli nel titolo di Signore di Gesualdo, Vennero edificati palazzi per la corte e alloggi per le maestranze delle botteghe artigiane e della servitù, e in tale modo si diede impulso allo sviluppo del borgo ai piedi del castello. Piazze e fontane di gradevole fattura tuttora completano, assieme alle Chiese e ai palazzi gentilizi (Palazzo Mattioli e Palazzo Pisapia) il complesso architettonico del borgo, oltre ovviamente al maestoso castello.
Fino a metà del secolo scorso, Gesualdo basava la sua economia prevalentemente sul commercio, in particolare del bestiame e dei prodotti agricoli. Le Fiere cittadine, la cui tradizione risale al 1588, erano assai ricche e conosciute ed attiravano compratori da tutta l’Irpinia e dalla vicina Puglia. A sostenere fortemente l’economia locale contribuivano inoltre l’agricoltura, con grandi produzioni di ortaggi tra questi in particolare il sedano, e l’artigianato, in particolare del legno e della pietra.
PERCORSI NELLE VALLI DEL BEN VIVERELuoghi di Interesse
Castello
Le origini del castello risalgono all’Alto Medioevo all’epoca delle conquiste longobarde nel Sud Italia. Una prima ipotesi vuole il mitico Cavaliere Sessualdo (o Gesualdo), fedele servitore del Ducato di Benevento, come fondatore del Maniero a metà del VI secolo e Primo Signore di Gesualdo. Un’altra tesi fa risalire la costruzione del nucleo originario del maniero intorno al IX secolo per volere di Radelchi, Principe di Benevento, come avamposto di difesa dei confini meridionali delle sue terre. Le prime notizie documentate risalgono, comunque, al XII Secolo all’epoca del dominio dei Normanni; il primo signore fu Guglielmo d’Altavilla. I suoi discendenti governarono il feudo per Cinque secoli. Il rappresentante più illustre della casata di discendenza normanna fu Carlo Gesualdo, che visse nel castello a cavallo tra il 500 e il 600. Acquistò notevole importanza in epoca normanno-sveva per la sua posizione nevralgica su una delle vie naturali più frequentate dell’Irpinia. Divenne perciò, una della più importanti fortezze della nostra zona.Nel 1137 era già ben nota ai benedettini di Montecassino, che vi sostarono durante il viaggio diretto a Lagopesole per pacificarsi con il papa Innocenzo II. I primi documenti intorno alla formazione del centro abitato risalgono al 1078, ossia all’anno in cui era signore Guglielmo Gesualdo nomino Elia II signore del “Costrum di Gisualdi”. Sul finire del 500, con l’avvento di Carlo Gesualdo, il maniero cambia aspetto e si trasforma in dimora signorile di stile rinascimentale. Il Principe fece realizzare il cortile e loggia della torre meridionale, nuovi appartamenti e cucine attrezzate a ospitare una Corte, le stanze e le gallerie furono decorate con pitture manieriste, fiamminghe, venne realizzata la sala del Teatro, poi giardini e fontane. Molti dei lavori avviati dal principe furono completati con la Signoria dei Ludovisi. Seguirono secoli meno floridi e proprietari meno virtuosi che rimaneggiarono il maniero di molte delle testimonianze della presenza del Principe. Il terremoto dell’8 settembre 1694 fece crollare il terzo piano che era stato realizzato alla fine del XVI secolo. Il castello ha subito vari danni e saccheggi nel corso dei secoli: durante la guerra franco-spagnola (1460), quando Ferdinando I d’Aragona, per vendicarsi di Luigi Il Gesualdo, lo distrusse in parte; con l’arrivo delle truppe francesi nel 1799. Nel 1855, dopo decenni di abbandono seguiti a rovinosi terremoti e saccheggi, il Castello divenne di proprietà della famiglia Caccese che ne dispose una profonda trasformazione strutturale: fu realizzato il viale di acceso da Piazza Neviera, il totale rifacimento della facciata e la creazione di nuovi ambienti interni. Il 13 ottobre 1913, per l’alto valore architettonico, storico, artistico e ambientale è stato vincolato dalla Sovrintendenza ai Beni Artistici ed Ambientali di Salerno e Avellino. Il castello è stato gravemente danneggiato dal terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980. Diventato di proprietà pubblica agli inizi degli anni 2000, è stato interessato da lunghi lavori di recupero ancora non del tutto completati. Riaperto al pubblico nel dicembre 2015 risulta solo parzialmente ristrutturato in attesa dell’avvio dei lavori di recupero dell’area di proprietà provinciale. Attualmente, sono visitabili gli ambienti dell’area Sud-Est, la corte interna e il giardino pensile.
Chiesa di San Nicola
La chiesa intitolata al Vescovo di Mira S. Nicola sorse probabilmente intorno al XII secolo a ridosso delle mura del castello, sul declivio del borgo medioevale. Di questo primo impianto mancano i riscontri documentali, anche se l’esistenza di una cripta, fatta murare dal vescovo Torti Rogadei nel XVIII secolo, caratterizzante le chiese sorte tra XI e XIII secolo, può far pensare a un impianto medievale. Le più antiche notizie attestanti l’esistenza della chiesa risalgono ai primi decenni del XVI secolo, anni in cui Gesualdo passò dal breve dominio del capitano spagnolo Consalvo de Cordova a quello del feudatario Fabrizio Gesualdo e del figlio di questi Luigi IV. Durante il dominio dei Gesualdo la chiesa subì vari restauri e ampliamenti in parte ancora leggibili nella parte più antica della muratura e ricordati da lapidi inserite all’interno del sacro edificio.
Nel 1538, durante l’arcipretura del reverendo Mastronicola, la chiesa fu arricchita dalla tribuna e dal coro ligneo e successivamente, con le Signorie di Carlo Gesualdo e Niccolò Ludovisi, con un corredo di tele ed opere pittoriche.
L’edificio fu abbattuto e ricostruito nel 1760, nelle forme in cui ancora ora appare. La facciata, austera e dignitosa, è arricchita da un grandioso portale in pietra da taglio scolpito da Giuseppe Landi da Calvanico nel 1760.
Chiesa del SS. Rosario
La chiesa, con relativo monastero Domenicano, fu iniziata dal principe Carlo Gesualdo che però riuscì a gettare solo le fondazioni, e terminata da Nicolò Ludovisi nella prima metà del XVII sec. Conseguì il titolo di Arciconfraternita nel 1912.
È a tre navate, comprende nove altari di marmo policromo ben lavorati in stile barocco, una deliziosa balaustra e un bel coro di legno intarsiato. L’altare maggiore, dedicato alla Vergine del Rosario, è veramente magnifico e ricco, tutto in marmi policromi come la bella balaustra. Dietro l’altare maggiore vi è un bel coro di legno intarsiato. L’altare che si trova a destra entrando è dedicato a S. Vincenzo Ferreri. Nella nicchia vi è una statua del Santo, egregiamente scolpita e fregiata di ricca colonna e diadema in argento. Degni di essere ricordati sono il pulpito e l’organo. L’ultima domenica d’agosto si celebra, in grande e sentita partecipazione popolare, la festa in onore di S. Vincenzo Ferreri durante la quale si svolge il tradizionale “Volo dell’angelo”.
Chiesa di Santa Maria Delle Grazie – Convento dei Cappuccini
La chiesa è situata in fondo alla via Cappuccini, con annesso Convento dei Padri Cappuccini. Furono fatti erigere dal principe Carlo Gesualdo nel 1592, come si legge sulla lapide apposta sulla facciata del convento. Il convento, ampliato da Nicolò Ludovisi nel 1629, è stato danneggiato dal sisma del 23 novembre 1980. Essa è a una sola navata; l’altare maggiore e quelli laterali sono in marmo policromo. La facciata molto semplice e austera presenta sopra l’arco d’ingresso lo stemma del principe Carlo Gesualdo. Celebre è il dipinto che si conserva nella chiesa, intitolato “il perdono di Carlo Gesualdo” (cm 481 x cm 310) di Giovanni Balducci, ritenuto dalla tradizione gotico-tenebrista l’icona del pentimento nella quale il principe avrebbe fatto trasportare per immagini la sua macerazione interiore per il duplice assassinio. Più in generale è da ritenere che la tela votiva raffiguri la richiesta di perdono per tutta l’umanità peccatrice, così come il principe musicista, nel 1585, scriveva nel suo primo mottetto “Ne reminiscaris, Domine, delicta nostra”: Perdona, Signore, i nostri peccati. Il convento, dal bellissimo chiostro e giardino è luogo di serafica pace. Per decenni è stato la sede del corso di studi in Teologia Morale per i seminaristi francescani dell’ordine dei Cappuccini. Nel convento soggiornò dal novembre al dicembre del 1909 Padre Pio da Pietrelcina. All’interno è possibile visitare il Museo di San Pio e Cella del Santo.
Chiesa di San Rocco
La chiesa fu fondata nel 1616 dalla principessa Isabella, nipote di Carlo Gesualdo, sotto il titolo di S. Antonio da Vienna. Nel 1820, come riportato su lapide collocata sulla porta d’ingresso, fu ampliata per motivi di insufficienza di spazio fino a raddoppiare le sue originarie dimensioni di lunghezza e altezza.
Fu rifatto il prospetto principale con artistico portale e fu costruito, separato dal corpo della chiesa, un campanile a base quadrata con cupola ricoperta di mattonelle porcellanate dipinte a mano. Quest’ultima opera, purtroppo, divenuta pericolante, fu demolita nel 1909 e sostituita da un nuovo campanile costruito sul lato opposto. Per accedere alla nuova cella campanaria fu realizzata una scala a chiocciola in pietra con gradini monolitici autoportanti. L’interno fu arricchito di pregevoli stucchi nel 1922, quando fu sistemata sull’altare maggiore la statua della Vergine Addolorata, acquistata presso la ditta Calderazzo di Napoli dal Priore Don Pasquale Dell’Erario, con dei soldi vinti al gioco del lotto. Negli anni Settanta, la facciata fu rivestita con pietre di Fontanarosa. Al centro della stessa, al di sopra del portale, fu riprodotta l’immagine dell’Addolorata con ceramiche di Vietri sul Mare, mentre sul vertice del frontone fu collocata una statua di San Rocco, fatta appositamente eseguire a Carrara, a imitazione di quella che si conserva all’interno della chiesa. A seguito del rovinoso evento sismico dell’80, la chiesa fu resa inagibile per circa un decennio. Crollò l’abside e andarono perduti affreschi, stucchi e pezzi di altari. Già dal Settecento è sede della Confraternita dell’Addolorata.
Il Cappellone
Nella Piazza Umberto I, in cui si ammira una magnifica fontana costruita proprio al centro nel 1688, l’opera più imponente è il Cappellone. L’edificio presenta nella sua globalità tre forme strutturali:
- la parte bassa (base), con la facciata in pietra, decorata da intagli a rilievo, è prismatica a base quadrata
- la parte centrale (tamburo), nella quale si aprono quattro finestroni perfettamente allineati con i punti cardinali, è cilindrica
- la parte alta (cupola) è perfettamente emisferica
È un edificio vistoso ed imponente che ha il prospetto ben lavorato in travertino prospiciente su un’ampia scala di nove scalini in uguale pietra realizzata nel 1842 dai maestri scalpellini Pesiri di Gesualdo. Dal cornicione lapideo in su l’architettura della chiesa è a forma cilindrica con quattro piccole finestre contrapposte. Il tutto è sormontato da una bellissima cupola a sua volta sormontata da altra cupola molto piccola che poggia su quattro pilastrini. In cima vi è una croce e sotto ad essa una banderuola ben lavorata. La costruzione è da attribuire a Domenico Ludovisi e a suo figlio Nicolò che la portò a termine nel 1736.All’interno è esposta la tela del Palio, celebrativa dell’incontro riconciliatore tra Carlo e Emanuele Gesualdo.