PERCORSI NELLE VALLI DEL BEN VIVERECasalbore

Casalbore, il cui nome deriva da Casali Albuli, con riferimento alla pietra bianca locale utilizzata nelle costruzioni, sorge al confine con la provincia di Benevento, lungo il percorso del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela. L’area è abitata sin dall’antichità, come testimoniano i preziosi reperti archeologici del Tempio Italico (V-VI sec. a.C.), unico edificio templare di età sannitica conosciuto in Irpinia, e i resti della necropoli sannitica situata in Località Spineto. Nel Medioevo il borgo si sviluppò attorno alla Torre Normanna, nucleo centrale dell’apparato difensivo che successivamente si sviluppò. La Torre Normanna rappresenta l’elemento storico e architettonico simbolo di Casalbore e probabilmente ha segnato, con la sua costruzione, la nascita vera e propria del borgo antico. Costruita agli inizi del XIII secolo, la torre rappresentava sia un punto di osservazione, necessario al controllo dei traffici commerciali da e per le Puglie, che un baluardo strategico posto a difesa della sottostante Valle del Miscano. Solo successivamente, intorno ad essa, si sviluppò un complesso architettonico più articolato difeso da bastioni. L’intero complesso, di caratteristico colore grigio chiaro, è costruito nella tipica pietra locale. La Torre a pianta tetragona è anche porta d’accesso carrabile all’intera struttura sviluppatasi intorno a una piazza d’armi. Dell’originario fortilizio resta anche una torre più piccola posta a sud-est del coevo tracciato murario. Realizzata secondo il gusto gotico, come testimoniano alcuni archi ogivali e bifore, la struttura fu trasformata nel cinquecento ad opera della nobile famiglia Caracciolo, con l’aggiunta di quattro porte di accesso più un portello. A ovest la Porta Beneventana con ponte levatoio, a est la Porta Vallone, a sud la Porta Fontana, a nord la Porta Carrara per il passaggio dei carri e a sud-est la Portella (attualmente via G. Maraviglia). L’interno del Castello era diviso in due corti, in una delle quali (posta a est) vi era insediato il Seggio popolare per i giudizi della Corte Marchesale. Il centro storico è connotato anche della presenza di diversi edifici signorili, impreziosite da portali in pietra e finestra di ispirazione gotica. Tra gli edifici religiosi spiccano il Monastero di Santa Maria della Misericordia, ricostruito dopo il sisma del 1962 e custode di una preziosa tela settecentesca raffigurante la Madonna della Misericordia tra San Domenico e altri Santi e la Chiesa di Santa Maria dei Bossi, di epoca alto-medievale, costruita utilizzando anche le strutture murarie di un monumento funerario risalente al II secolo d.C. Casalbore è conosciuto anche come “il paese delle cinquanta sorgenti” per la ricchezza delle sorgenti d’acqua presenti sul suo territorio ricco di verde ed è noto per le produzioni tipiche, in particolare i caciocavalli e i Pecorini di Laticauda, prodotti con il latte di razza ovina che rappresenta una preziosa biodiversità locale, oltre che per la produzione di carni marchigiane e di salumi provenienti dai suini allevati in loco.
PERCORSI NELLE VALLI DEL BEN VIVERELuoghi di Interesse
Torre Normanna – Museo dei Castelli
La Torre Normanna rappresentava un punto di difesa e osservazione strategico per il controllo dei traffici commerciali che interessavano la Valle del Miscano; la sua costruzione ha determinato, probabilmente, la nascita vera e propria del borgo antico di Casalbore. Attorno ad essa, in epoche successive, si sviluppò un complesso architettonico più articolato, difeso da bastioni e caratterizzato dal colore grigio chiaro della tipica pietra locale utilizzata per la sua realizzazione. La struttura si sviluppa attorno ad un’ampia piazza d’armi cui si accede attraverso la cosiddetta Porta Beneventana, ricavata proprio nella parte bassa della torre. Questa porta in origine non doveva essere presente, poiché simili torri sono solitamente caratterizzate dall’avere una cisterna per l’acqua al pianterreno e da vari piani ripartiti da solai lignei. L’ipotesi è inoltre avvalorata dal rinvenimento di un fossato alla base della torre, il quale doveva anche essere sormontato da un ponte levatoio. La torre era inoltre dotata di un camino situato al primo piano e di servizi igienici ricavati nello spessore delle mura ai livelli superiori. Oltre alla già citata piazza d’armi, dell’originario fortilizio sviluppatosi attorno alla torre resta anche una torre più piccola posta a sud-est. Nel Cinquecento, la struttura fu trasformata ad opera dei Caracciolo in dimora signorile, aggiungendovi il palazzo posto sul lato Sud della corte e altre tre porte di accesso. Gli edifici che affiancano la Torre Normanna ospitano il “Museo dei Castelli”, mostra permanente – percorso didattico, il cui nucleo principale è costituito dalla Mostra Fotografica “Immagini come appunti di viaggio, castelli e fortificazioni in provincia di Avellino”, esposta in diverse città italiane, tra cui Napoli, Roma e Bari e molto apprezzata da critica, stampa e pubblico.
Tempio italico
Sorge nei pressi di una sorgente, subito a valle del tratturo, in località detta Macchia Porcara a poca distanza dalla Casa Comunale. Le indagini archeologiche che hanno riportato alla luce questo antico santuario sannitico, lo attribuiscono al culto di divinità femminili personificazione di forze sismiche o vulcaniche. Gli ex-voto rinvenuti e la presenza dell’acqua sorgiva inducono a riconoscere nella divinità venerata la dea Mefitis, signora della fertilità e della riproduzione, della morte e degli inferi, il cui culto aveva probabili legami anche con le pratiche della transumanza, se si tiene conto che alcune delle aree sacre ad essa dedicate erano per la maggior parte collocate a ridosso del suo percorso. Il ritrovamento archeologico risale al III secolo a.C., eretto su un preesistente primitivo sacello del IV secolo a.C. ornato di terrecotte architettoniche di tipo campano. Accorpato al santuario si ergeva un tempio di tipo etrusco-italico, prostilo ed esastilo (cioè con sei colonne poste solo nella facciata) con cella quadrangolare che custodiva la statua di culto introdotta da una gradinata di accesso che inglobava due fontane, alimentate da tubature in piombo. Il complesso era preceduto da uno spazio aperto con l’altare sacrificale, fiancheggiato da un portico. Di grande pregio Il pavimento in cocciopesto, decorato con motivi a losanghe in tessere di pietra calcarea. Le pareti erano rivestite d’intonaco con una decorazione a false bugne dipinte in rosso e giallo, del tipo noto come “primo stile”, molto diffuso negli affreschi delle case pompeiane. Dai ritrovamenti si apprende che, la decorazione esterna in terracotta del tempio, non fu forse mai realizzata e i portici mai terminati, lavori probabilmente interrotti nel corso della seconda guerra punica, che interessò l’area dal 217 al 202 a.C. Il tempio è di grande pregio dovuto sia allo stato di conservazione in cui è pervenuto, sia al fatto che rappresenta il più antico complesso cultuale di quel periodo finora noto nel Sannio interno. I materiali votivi recuperati, comprendenti numerose terrecotte figurate, ceramiche a vernice nera, balsamari ed alcune monete si conservano presso l’Antiquarium di Ariano Irpino.
Santa Maria dei Bossi
Santa Maria dei Bossi è una piccola chiesa in stile romanico-rurale costruita sui resti di un antico monumento funerario di epoca romana. Nell’area circostante si sviluppò un’ampia necropoli rimasta in uso fino al VII sec. d.C. La chiesa, per la sua posizione intermedia tra il tracciato del Regio Tratturo e l’antica strada Traiana, rappresentò luogo privilegiato di sosta per guerrieri, pastori e pellegrini. Le prime tracce dell’esistenza di questo suggestivo luogo di culto vengono ritrovate in un documento ecclesiastico del 452 in cui si nomina l’Ecclesia Sanctae Mariae in Casali Albulo e successivamente se ne ritrova traccia in una pergamena del 1102 in cui si apprende che la struttura risultava tra i beni della chiesa di Santa Sofia di Benevento dedicata al culto di San Giovanni Battista.
Tribolata la storia di questo antico tempio che nei quaranta del secolo scorso, in seguito al crollo del tetto, venne destinata a ricovero per animali mentre la statua rappresentante la Vergine traslata nella chiesa madre di Casalbore. La chiesa ritornò al culto, alla metà degli anni 70, dopo un certosino intervento di restauro strutturale e architettonico. Nello stato attuale presenta una pianta quadrata con abside e murature miste di mattoni e pietre. Ha una semplice facciata a capanna, nella quale è ben visibile un arco sicuramente anteriore al piccolo portale d’ingresso sottostante. All’esterno, lungo la calotta absidale, sono visibili ancora i resti della struttura romana inglobati nella muratura. L’edificio, oltre ad essere situato in una zona di alto interesse archeologico, è inserito in un suggestivo contesto naturalistico, caratterizzato da una folta macchia di querce, cerri, olmi e cespugli di bosso. Caratteristica peculiare è la secolare quercia di circa venti metri di altezza, i cui frutti, un tempo, servivano al sostentamento economico della chiesa.
Grotta di San Michele Arcangelo
La grotta di San Michele Arcangelo di Casalbore iniziò ad essere frequentata a scopo di culto probabilmente già nell’Alto Medioevo, in seguito alla conversione dei Longobardi al cristianesimo e alla proclamazione di San Michele a loro protettore. Il Santo guerriero trova analogia con Wotan, il dio della guerra dei popoli germanici, patrono dei guerrieri e degli eroi. Attraverso le contaminazioni culturali della transumanza, che favoriva i pellegrinaggi verso il Monte Gargano, centro propulsore del culto, la devozione al santo si diffuse soprattutto nell’Italia centro-meridionale, dando origine a numerosi luoghi sacri posti lungo i tratturi. La legenda racconta che la grotta carsica venisse scoperta da una mucca e quindi consacrata a San Michele che anche sul Gargano aveva indicato il luogo di devozione attraverso un toro. È una chiesa rupestre che assunse il ruolo di tappa privilegiata di un itinerario che, seguendo la via Traiana, ricalcata dalla Via Sacra Langobardorum, giungeva alla grotta garganica e proseguiva verso i porti di imbarco per la Terra Santa. La cappella fu restaurata nel 700 dai marchesi Aurelia e Tommaso Caracciolo, particolarmente devoti al Santo. Evento testimoniato da una lapide conservata all’interno, posta al di sopra di una rustica acquasantiera in marmo. Nello stesso anno fu realizzata una statua in pietra del santo e l’anno successivo venne consacrato un nuovo altare in marmo finemente lavorato. Sulla scia di questi eventi, Papa Clemente XI concedeva indulgenza plenaria a quei fedeli che, pentiti e confessati, erano disposti a recarsi in visita alla grotta. L’originario ingresso era collocato in una frattura della volta rocciosa e solo successivamente si realizzò un ingresso laterale sul pendio meridionale della collina. Oggi la cavità carsica è sovrastata da un edificio e conserva i due ingressi. L’ampiezza della cavità naturale venne in seguito ridotta a circa venti metri, a causa dell’apertura di una cava per l’estrazione della pietra. L’8 maggio di ogni anno la cappella è meta di una suggestiva processione preludio di un’emozionante celebrazione religiosa che si unisce ancora alla festa patronale civile.